di Francesco Corsi Una problematica che affligge molte persone è l’artrosi. Importante è sottolineare che l’artrosi di per sé non è una patologia vera e propria ma viene definita come una degenerazione fisiologica dell’articolazione, come esito del consumo eccessivo della cartilagine ialina che riveste l’osso. Questa, in condizioni normali (fisiologiche quindi), permette il normale scorrimento dei capi ossei senza che questi si sfreghino l’un l’altro. Gli effetti negativi dell’artrosi, sulla qualità di vita di milioni di persone e sui costi di assistenza sanitaria e la produttività economica, ne fanno un importante problema di salute che aumenterà di incidenza l'impatto della stessa con l'invecchiamento della popolazione 1 (Buckwalter JA et. al., 2000). Infatti la degenerazione dell’articolazione determina un cambiamento della struttura e funzione dell’articolazione stessa 2 (Altman RD., 1997) con conseguente dolore e disabilità associate, debolezza muscolare, limitazione articolare ma coinvolgente anche il profilo psicologico 3 (Dekker J. et. al., 1992). Il fatto che l’incidenza dell’artrosi aumenti con l’aumentare dell’età ne hanno fatto una malattia dell’apparato locomotore fortemente associata all’invecchiamento. Nonostante questo, l’artrosi non è una conseguenza inevitabile dell’invecchiamento mentre quest’ultimo tende ad aumentarne il rischio 4 (Martin JA, Buckwalter JA, 2002). Si pensa che l’invecchiamento rappresenti un fattore di rischio nell’insorgenza dell’artrosi in quanto diminuisca la capacità di mitosi (e quindi di duplicazione cellulare) dei condrociti e la loro conseguente capacità di sintetizzare cartilagine, diminuendo la loro reattività agli stimoli meccanici anabolizzanti 5 (Martin JA, Buckwalter JA, 2003). Nello specifico, nelle cartilagini di tipo ialino, la nutrizione delle cartilagini articolari avviene per diffusione di materiale dal liquido sinoviale, dall’osso sottostante e dalla membrana sinoviale. Tale diffusione è ostacolata dal grado di polimerizzazione (unità che si ripetono in sequenza) dei mucopolisaccaridi che aumenta con l’età; la cartilagine tende quindi ad andare incontro a fenomeni regressivi 6 (Vari autori, 2004) E tutto questo non è un fatto assolutamente secondario se si pensa che, secondo le stime dell’OMS, dal 2020 l’Italia sarà il Paese più “vecchio” al mondo 7 (Inelmen EM et. al., 2002). Lo stile di vita è sicuramente importante nel determinare o meno la gravità dell’artrosi: traumi, stress, posture viziate e professioni logoranti concorrono notevolmente all’insorgenza della degenerazione articolare. Tra i fattori di rischio più importanti, sicuramente vi è l’obesità che tende ad essere una causa primaria nell’insorgenza dell’artrosi del ginocchio (gonartrosi): la relazione tra indice di massa corporea (BMI) e obesità è infatti tendenzialmente lineare. Inoltre, in questo senso, sono spaventosi i numeri se si pensa che il 27% delle protesi di anca ed il 69% di quelle di ginocchio possono essere attribuite all’obesità 8 (Grazio S., Balen D., 2009). Concorrono come importanti predittori di peggioramento una bassa auto-sufficienza, lassità del ginocchio, scarso esercizio fisico aerobico, scarsa propriocezione articolare e maggiore dolore al ginocchio 9 (Issa SN., Sharma L., 2006). Anche lo sport di alto livello (agonistico) non è esente dall’essere un importante fattore di rischio distrettuale relativo all’attività sport specifica praticata: verosimilmente questo in relazione ai traumi e allo stress meccanico specifico elevato. Uno studio britannico 10 (Shepard GJ., Banks AJ., Ryan WG., 2003) rivela come calciatori ex professionisti presentassero una prevalenza di artrosi all’anca significativamente più alta, rispetto ad un gruppo controllo, attraverso controlli radiografici; un altro studio australiano 11 (Deacon A. et. al., 1997) riporta come calciatori di alto livello in pensione presentino alti livelli di artrosi al ginocchio soprattutto in quei soggetti che nel corso della loro carriera hanno subito traumi legamentosi e meniscali intraarticolari rispetto a quelli che hanno subito infortuni al legamento collaterale o che non hanno subito incidenti. Cambiando sport, nel judo si è notato uno sviluppo di artrosi nelle articolazioni delle dita della mano a causa di micro traumi ripetitivi 12 (Strasser P. et. al., 1997). Dopo aver fatto questa esamina su cosa sia l’artrosi e quelli che sono i fattori di rischio andiamo a vedere nello specifico come le arti orientali del Taijiquan e del Qi Gong possono tornarci utili per migliorare sensibilmente lo stato di salute delle articolazioni affette da artrosi. Senza dubbio uno dei punti di forza di queste discipline e del loro potere terapeutico sta nella lentezza: senza addentrarci in tematiche troppo complesse, questa permette tre sostanziali benefici:
Sono, come sempre, necessari grandi campioni per avvalorare i benefici di tali arti che tuttavia sono sempre più riconosciute come modelli di eccellenza al servizio della salute. I benefici sono sempre quelli dell’esercizio fisico ormai riconosciuti: il movimento determina la formazione di liquido sinoviale, fluido determinante nella lubrificazione articolare e nella conseguente preservazione della cartilagine. Nelle arti orientali, la lentezza, il movimento elastico unito al rilassamento mentale determina un incremento della microcircolazione data dalla vasodilatazione ed un conseguente aumentato scambio di metaboliti. Le arti orientali si prestano in maniera straordinaria, date le loro caratteristiche, a contrastare e migliorare la sintomatologia dolorosa dell’artrosi. Dato il loro profondo impatto sistemico sull’organismo è auspicabile che vengano sempre più inserite, non solo in un contesto di cura nelle persone anziane, ma anche in un contesto preventivo, a maggior ragione nello sportivo che ha necessariamente bisogno di compensare il duro stress psico – fisico. In questo senso non sono discipline dell’anziano, bensì discipline di salute e longevità. Discipline che non hanno età...
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